Attivistə: ti presentiamo Fabio
di ArcigayMilanoAdmin
Ciao Fabio! Presentati in una riga.
All’interno del CIG sono, attualmente, il Presidente e responsabile della Sezione Cultura. Fuori dall’associazione sono un medico ematologo, ricercatore in ambito cardiovascolare/lipidologico. Sono uno che, ovunque e da sempre, si fa domande su tutto, e che in ogni cosa cerca una risposta.
Come sei arrivato al CIG?
La mia vita bussava forte dentro di me e dovevo e volevo ascoltarla. Arcigay era l’associazione che nell’immaginario collettivo rappresentava la sede dove le mie domande avrebbero potuto trovare risposta. E così fu. Ricordo come ora quel momento, le emozioni, le paure, la determinazione, che mi fece fare quel percorso. Ricordo ancora dove parcheggiai l’auto. E se ora sono grato a quel momento, non posso che ringraziare quell’energia che pulsava dentro di me e voleva uscire, e che solo anni dopo riuscii a guardare appieno in volto.
Il tuo ricordo più bello in associazione (fin qui)?
Sono stati tanti. Ogni granellino di crescita che portavo alla mia vita erano spiragli di aria fresca ai miei polmoni. Gli occhi dei miei amic* felici quando si faceva qualcosa per la nostra vita e la nostra città giustificavano tutte le fatiche fatte. Certe cose hanno lasciato dei solchi più profondi, e anche qui sono state tante. Diversi anni fa, facemmo una manifestazione di fronte all’ambasciata iraniana per l’impiccagione di ragazzi omosessuali. Organizzammo il sit-in, ma ci servivano dei cartelloni che mostrassero quelle immagini terribili. Allora andai dalla copisteria più importante di città studi a MIlano, dove andavano gli studenti perchè li le stampe erano molto buone. Entrato, dissi al proprietario che avevo bisogno di stampare delle immagini. Non ce la facciamo per oggi.- mi disse. Gli spiegai l’urgenza. Mi disse di dare la chiavetta ad una sua assistente per capire le necessità tecniche di quella stampa. Quando vide le immagini dei ragazzi impiccati mi disse: cos’è questa roba?. Gli spiegai. Bloccò altri lavori. Mandò in stampa quelle immagini con priorità assoluta. Non volle nessun compenso per quella stampa dicendoci che era il suo modo per dare il suo contributo ed essere con noi, perchè voleva una società civile per i suoi figli.
Qualcuno che ti ha ispirato e che ci vuoi far conoscere? In un libro, un film, una biografia, un’opera…
Tanti amic* sono stati importanti. Ma una è stata in grado di perturbare più di altri i miei assetti mentali, incrinarli nelle sue certezze più recondite e di darmi, senza usare la parola, le vie delle ipotetiche soluzioni: Corrado Levi. Il suo libretto, NEW KAMASUTRA , mi ha mostrato un mondo che vedevo ma non conoscevo, o meglio, non riuscivo a capire. Le pagine in cui descrive il Mine Shaft di New York, sono state per me la chiave di volta nella comprensione dell’affettività umana, che, sino ad allora non capivo, perchè, come dice lo stesso Corrado in quella pagina, andavo troppo veloce per capire. La cosa più grande di Corrado è che ti spinge a pensare senza darti la soluzione di quello che vedrai. Non ti plasma. Non ti dice una verità. Te la fa cercare. Archimede disse: datemi una leva che vi solleverò il mondo. Corrado ti indica una via da cui guardare il mondo… e ti accorgi, che lo vedi tutto. Corrado ti da semplicemente un foglio in cui tu scrivi la tua vita. Corrado chiude quel cerchio aperto da Mario Mieli.
Il tuo primo Pride.
Milano non aveva mai avuto un Pride come noi lo concepiamo oggi, e nel 2001 ci fu l’occasione per organizzarlo, e per di più come manifestazione nazionale, a un anno di distanza dal World Pride di Roma, con tutto quello che questo comportava e significava. Ricordo le discussioni che si ebbero per decidere se farlo o meno. La paura che non si riuscisse a portare le persone al pride e che si finisse per organizzare una manifestazione per pochi intimi, come negli anni precedenti, era tanta. Ma non si poteva riavvolgere la storia. Bisognava andare avanti e provarci. Metterci tutta l’energia possibile. E Milano, doveva battere un colpo. Così fu. Ricordo che a un ora e mezza dall’inizio della parata eravamo ancora in poch*. Decidemmo di andare a berci un caffè, in un bar di Porta Venezia dato che ai Bastione avevamo allestito i carri. Al ritorno, cominciammo a vedere uscire sempre più persone dalle Metro, in una fiumana che non aveva termine. Sembravano uscite dalla storia che li aveva da sempre segregati all’oblio ma in quel momento volevano e pretendevano luce e libertà. Quel fiume di persone scorreva e non si fermava più. Noi, di riflesso, non capimmo più niente. Le nostre vite camminavano su suoli diversi da quelli di pochi attimi prima. La felicità ci teneva sospesi dentro e sopra la nostra vita e all’interno della storia. Atterrammo molti giorni dopo.
Qual è un tuo sogno per la comunità LGBTQ+?
La felicità.