La scrittura come rifugio

Cultura Gruppo donna

di Redazione CIG Arcigay Milano

di Valeria, a cura del Gruppo Donna – CIG Arcigay Milano

Ricordo la bellezza di sfogliare il mio diario a sette anni, la voglia di mettere su carta la giornata e i pensieri con la paura di rileggerli e non saperli affrontare: una scrittura sghemba che voleva essere perfetta, un po’ come me da bambina. Nonostante il desiderio però non sono mai stata costante e avere di fronte la propria vita nero su bianco era uno specchio in cui non volevo stare. Iniziavo un ciclo di confidenze con le pagine profumate di nuovo e dopo tre o quattro giorni fingevo di dimenticarmi di scrivere, con il peso della verità sul petto: non volevo rileggermi. È stato così per molto tempo e un po’ come soluzione al problema, un po’ per dar voce ad una parte profondissima di me innamorata dell’amore, mi concedevo lunghe lettere. Ho avuto un amico di penna e ho ancora vivida l’emozione di attaccare il francobollo e scrivere l’indirizzo sulla busta, tutte le parole usate per descrivere le mie giornate, gli avvenimenti salienti e la vita che ritenevo importante da condividere, ma soprattutto liberare. Imbucarle e vederle andare via era un sollievo, e anche il pensiero di avergli affidato certe verità. Ho scritto molte lettere alle persone di cui mi infatuavo, come se le parole potessero fare i passi che io non riuscivo a compiere, per essere vista, per essere presente al mondo. Volevo che fosse un gesto d’amore, ma la realtà era che ne avevo più bisogno io. 

mano che impugna una matita e scrive su un quaderno

Le lettere per me erano pagine di diario da non rileggere ed è stato così fino a quando mi sono resa conto di come l’atto egoistico che compivo per me e per stupire gli altri, in realtà li allontanava e aveva quindi l’effetto opposto a quello che volevo. Ho messo così un vero punto con la scrittura condivisa, e ho ricominciato con la forma che avevo bistrattato fino ad allora togliendo però tutte le regole: nessun obbligo di una restituzione giornaliera, nessun obbligo nella forma, nessuna chiusa ad effetto, niente.
Solo parole scritte in un’applicazione “prendi nota”, catalogate per data, mese, anno. Avevo trovato finalmente un contenitore libero dove poter versare il mio contenuto infinito di riflessioni e intimità. Ed è così che è iniziata la sperimentazione e quella che era la ricerca artistica che facevo nella vita quotidiana, nel mio lavoro e nei miei studi, in parallelo trovava spazio nelle note del telefono, nel mio diario virtuale.

La scrittura era diventata il mio posto sicuro, quello in cui cristallizzare gli stati d’animo, dargli il volume che meritavano. Nonostante questo le parole facevano così paura che continuavo ad evitarle e a non riguardarle, buttate giù distrattamente, di getto. Mi sono resa conto a distanza di anni dall’averle scritte, che se mi fossi riletta, e quindi ascoltata, certe consapevolezze le avrei colte molto tempo prima. 

È stato poi sicuramente il lavoro su me stessa ad aiutarmi di più. La terapia mi ha dato le parole e un lessico tutto nuovo per definirmi e definire il mondo. E come in tutte le cose nuove che si imparano, è cresciuta la voglia di sperimentare.
Pochi anni fa ho scoperto infatti la poesia. Prima leggendone molta e conservandone una al giorno in un raccoglitore virtuale. Poi iniziando a scriverne: l’atto poetico di composizione allenato da uno sguardo più attento alle cose, al mondo e alla bellezza, è diventato catalizzatore delle mie emozioni. Non più quindi un diario fatto da altri, ma composto da me stessa, in poesie che scandivano la mia vita.

Se penso al mio punto di partenza quindi con la scrittura, tante cose sono tornate e tante invece sono cresciute con me. Di lettere ne scrivo molte meno, solo a chi ha davvero un posto nel mio cuore ed è con una di queste che ho fatto coming out con i miei genitori. Non una missiva fine a sé stessa, un pezzo di carta con un francobollo ma parole una dopo l’altra, dedicate ma lette ad alta voce come presa di responsabilità.
La forma diaristica è stata rimpiazzata dalla poesia, ma ogni tanto torna per riflessioni più importanti che non devono scappare via. E la rilettura, da cui prima fuggivo, ora è necessaria a comprendere, ad imprimere nel cuore.

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