Vivere in una prigione invisibile
di Redazione CIG Arcigay Milano
A cura del Gruppo Donna – CIG Arcigay Milano
Per quasi un decennio ho vissuto una relazione che, all’inizio, non avevo neanche capito fosse tossica. Non c’erano insulti diretti, non c’erano botte, nessunə mi ha mai gridato contro. Eppure, ogni giorno, mi ritrovavo sempre più sola, sempre più piccola, schiacciata da una presenza invisibile che mi toglieva fiato e spazio.
Il controllo c’era, ma era sottile, insidioso. Ləi non mi impediva di lavorare, non apertamente almeno, ma ogni volta che parlavo dei miei sogni o di cosa mi avrebbe resa felice, trovava sempre un modo per farmi capire che non era realistico, che non ne valeva la pena. “Ma ti serve quel lavoro? Non è che ti pagano chissà quanto,” diceva con un sorriso innocente, ma che lentamente scavava una voragine nella mia autostima.
E così, giorno dopo giorno, smettevo di credere in me stessa.
Non era mai colpa sua, anzi, sembrava che mi volesse proteggere dalle mie stesse ambizioni, troppo “grandi” per ləi. Non mi vietava di uscire o vedere amici e amiche, ma c’era sempre una battuta, una frecciatina: “Con tutto quello che abbiamo da fare, proprio ora devi andare a cena fuori?” O peggio un silenzio pesante, un non rivolgermi la parola per giorni, come se ogni decisione diversa da quelle che ləi approvava fosse un tradimento della fiducia o della sua persona.
E poi c’erano i soldi, anche i pochi che guadagnavo con il mio stipendio da impiegata. Non potevo spenderli senza sentirmi osservata, giudicata.
“Ma davvero hai bisogno di quell’abito nuovo?” O ancora: “Non è che ci sono problemi economici, ma dovresti pensarci un po’ meglio”. E così, ogni volta che facevo un acquisto, mi sentivo inadeguata. Anche quando erano cose necessarie dentro di me c’era una voce che diceva: “Forse sto esagerando”. Nascondevo tutto: cercavo di rincasare in orari in cui potevo essere da sola e mimetizzare i pacchi nell’armadio, mi inventavo un mare di bugie per giustificare ogni azione.
La cosa più difficile da accettare è che non vedevo tutto questo come abuso. Mi sembrava semplicemente il modo in cui funzionavano le relazioni. Ləi non mi insultava apertamente. Era solo preoccupatə per me, per noi. Ma era quella preoccupazione a essere velenosa, perché nascondeva una realtà molto crudele: voleva tenermi in una gabbia dorata, dove ero sempre dipendente dalle sue opinioni e dal suo giudizio.
Mi ci sono voluti anni per rendermi conto che quello che vivevo era una prigione fatta di parole sottili e gesti appena percettibili. Non era la violenza urlata che vedi nei film o leggi sui giornali, ma un abuso silenzioso, che si insinua dentro di te e ti distrugge dall’interno. Ci è voluta una pandemia per farmi aprire gli occhi. Quando tutto il mondo si è fermato e la libertà è stata sospesa per chiunque, mi sono trovata intrappolata ancora di più in una situazione che credevo di poter gestire. Non si poteva più uscire, nemmeno per andare al lavoro o a Messa, l’unico spazio di libertà che mi concedevo nei fine settimana per evitare di stare h24 in casa con ləi. Quella routine così fragile e preziosa che mi faceva respirare per qualche ora era scomparsa. Improvvisamente non avevo più scuse per allontanarmi, nemmeno per poco.
In quel silenzio soffocante ho capito che c’erano due strade davanti a me: annientare completamente me stessa, arrendendomi a una vita che mi stava consumando dall’interno, o trovare il coraggio di fuggire. Grazie al supporto della comunità LGBTQIA+ ho scelto la seconda.
Ho scelto di essere libera.
Quello che voglio dire a chiunque stia vivendo una situazione simile è questo: chiedete aiuto. Anche quando sembra impossibile, anche quando vi sembra di essere troppo lontane dalla libertà, anche quando chi sta intorno a voi si gira dall’altra parte, anche quando temete le convenzioni sociali, lo stigma di essere una donna sola over 30 che non è stata capace di costruirsi una “famiglia tradizionale”. C’è sempre una possibilità, ma dovete essere prima di tutto voi a trovare il coraggio di urlare la vostra sofferenza. Vedrete che le catene si spezzeranno e vi assicuro che quando accadrà tornerete di nuovo a respirare.
Una sorella che, pian piano, è tornata a vivere.